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Terre / Vini

La riscoperta dei Nocchianello, antichi vitigni autoctoni coltivati in Maremma

“Enoturismo e antichi vitigni vulcanici: quali opportunità per viticoltori e territorio?”,  è il titolo del convegno che si è svolto sabato 13 gennaio, presso la Sala Petruccioli, a Pitigliano, situata all’interno della Fortezza Orsini. Oltre a parlare dell’emendamento, inserito all’interno della Legge di Bilancio, appena approvata in Senato, che regola le visite in cantina, si è dato ampio spazio alla riscoperta e alla valorizzazione dei Nocchianelli, vitigni autoctoni risalenti alla civiltà etrusca.

Contrastanti le notizie riguardanti l’etimologia del nome “Nocchianello”, che sembrerebbe derivare da “nocchia” (nocciola), forse per la particolare colorazione e dimensione degli acini. Ciò che è certo, invece, è che sono stati coltivati fino alla fine dell’800, quando con l’invasione della Filossera, furono sostituiti in parte, con vitigni provenienti da altre zone, sicuramente più produttivi, causando, negli anni successivi, un ingente impoverimento del patrimonio genetico della vite, in tutta l’area di Pitigliano e Sorano. Nel 1979, grazie anche all’interessamento del Prof. Giancarlo Scalabrelli dell’Università di Pisa e alla Cantina Cooperativa di Pitigliano, presieduta all’epoca da Stefano Formiconi, proprietario dell’azienda vitivinicola Villa Corano, ebbe inizio un’attività di recupero del materiale autoctono che permise di individuare 29 varietà di Nocchianello e la creazione del primo vigneto sperimentale che oggi non esiste più. A distanza di quarant’anni, nel 2012, tale progetto viene ripreso da Edoardo Ventimiglia e Carla Benini, dell’azienda Sassotondo situata nei pressi di Sovana, che in collaborazione con Paolo Storchi del Crea di Arezzo, danno vita ad un nuovo vigneto collezione. Un immenso e pregevole lavoro di recupero ha permesso così di selezionare i cloni più idonei alla coltivazione: il Nocchianello Nero e il Nocchianello Bianco. Ad Ottobre 2017, un altro grande traguardo: i Nocchianelli sono stati riconosciuti dal Mipaaf, che li ha iscritti nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite, autorizzando di fatto la loro coltivazione. Due vitigni comunque differenti tra loro: Il Nocchianello Bianco, con ottime rese, ha una buona acidità e un buon tenore alcolico, aromi fruttati e una struttura tale da poterlo considerare idoneo alla vinificazione in purezza, ma soprattutto in uvaggio con le principali varietà di uve coltivate nella zona. Il vino prodotto nella vendemmia sperimentale del 2015 dal Nocchianello Nero, che al contrario del Bianco non ha una buona resa, seppur molto resistente alle malattie e con una curva di maturazione tardiva, è caratterizzato da aromi speziati e fruttati, da un’acidità media, da una buona gradazione alcolica e denota una notevole capacità di invecchiamento.

Al termine del convegno si è accennato anche ad un altro vitigno autoctono presente da sempre nell’Area del Tufo: un biotipo di Trebbiano, denominato Procanico Rosa, avente acini rosacei così trasparenti da rendere ben evidenti i vinaccioli. Chissà se proprio grazie a queste uve autoctone, riscoperte e rivalutate recentemente, che vanno ad arricchire il patrimonio vitivinicolo italiano, si potrà aggiungere ancora più prestigio e valore ad un territorio che offre già molto dal punto di vista storico e architettonico? Me lo auguro vivamente.